Domenica 23 ottobre
dalle ore 12.00 alle 19.30
Siete tutti invitati al giardino condiviso di Isola Pepe Verde
per un Picnic in musica in ricordo di Bert!
Ognuno porti qualcosa, vi aspettiamo!
Discorso tenuto da Enrico Lunghi, direttore del Mudam Luxembourg – Musée d’Art Moderne Grand-Duc Jean, in occasione della cerimonia di saluto a Bert.
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Bert
Bert mi ha insegnato molto.
Gli piaceva condividere le sue conoscenze, spiegare le sue intenzioni, far capire il suo approccio, e lo faceva con una pedagogia paziente e una chiarezza ammirabile.
Non è un caso che per una parte della sua vita sia stato insegnate, e che in seguito non abbia mai smesso di fare lezioni, conferenze, partecipare a incontri filosofici, organizzare seminari, e realizzare laboratori – il workshop del Casino Luxembourg, per esempio, che ha iniziato insieme a Paul di Felice, gli deve molto.
Una delle prime cose che Bert mi ha insegnato è avere sempre il senso dell’umorismo.
Aiuta a vivere, soprattutto in momenti difficili e tristi come questo.
L’umorismo era una costante in Bert:
Quando l’ho incontrato per la prima volta, nella galleria Beim Engel, metteva in mostra – tra altre cose – delle pitture in piombo, perché diceva come ai lussemburghesi, per quanto riguarda l’arte, piaccia non apparire frivoli e quindi comprare dei «quadri pesanti», che danno la sensazione di aver agganciato qualcosa di consistente al muro.
Per la mostra Rendez-vous provoqué al museo nazionale nel 1994, aveva esposto un pannello luminoso con un testo scritto in braille, e un libro sulla storia dell’arte di cui tutte le pagine erano incollate assieme, come a dire: «Sforzatevi un po’, se pretendete di essere interessati all’arte!».
Per la Biennale di Venezia nel 1995, ha costruito nientemeno che un vero-finto padiglione lussemburghese, facendo cantare il rap a Marcel Duchamp, come per colmare due enormi vuoti nella storia della laguna: Marcel Duchamp – che Bert ammirava molto – non era mai stato invitato, e solo i paesi con i più alti budget militari sono stati autorizzati a costruire padiglioni nei Giardini.
E per Manifesta 2, nel 1998, autonominandosi sub-curatore, in omaggio al subcomandante Marcos, aveva organizzato un viaggio in pullman accompagnato da musica africana verso la casa natale di Karl Marx, l’autore del Manifesto, a Treviri, un po’ per prendere in giro già allora le derive capitalistiche del mondo dell’arte.
Bert pensava che l’arte avesse sempre a che fare con un contesto – fosse questo storico, politico, sociale, culturale o filosofico. Non ha mai fatto due volte la stessa mostra, non ha mai considerato l’arte come un divertimento: fare arte era per lui un modo di essere al mondo, un’attitudine di rispetto per la vita, piena di nobiltà e di dignità.
Ha mantenuto questa attitudine con magnifica costanza durante tutta la sua vita, insieme alla sua compagna Mariette che, tra l’altro, l’ha accompagnato e stimolato in tutto il suo lavoro.
Bert mi ha insegnato anche cosa sia il rigore, senza che io sia mai arrivato a farne uso in modo così conseguente come lui.
Appena andava in un luogo, o quando doveva fare un lavoro in un posto che non conosceva ancora, si documentava, leggeva molto, provava a capire cos’era specifico a quel luogo, in quel contesto, e soprattutto cos’era che animava la gente che ci viveva attorno.
Nel 1997 viene invitato a Skulptur Projekte a Münster, dopo aver realizzato Potemkin Lock a Venezia, che aveva avuto un successo considerevole nel tempo – e qui mi permetto di citare un importante artista internazionale, Nedko Solakov, che ha recentemente scritto: «Più passa il tempo, più Potemkin Lock rimane uno dei migliori progetti di sempre a Venezia». Invitato a Münster, dunque, si è detto che in una città così piatta dove si gira tanto in bici, la sua scultura non doveva assolutamente ostacolare il percorso dei ciclisti: la Piattaforma Filosofica permetteva loro quindi di prendere un po’ di altezza e incoraggiava i passanti ad appropriarsene, per esempio, ballando il tango il sabato sera.
Con le sue opere Bert toccava i punti giusti: per il Casino Luxembourg, aveva immaginato le Domaine de Marcel et Joseph, nel quale non solo due merli indiani dovevano riprodurre un dialogo poetico e incontrollabile tra Marcel Duchamp e Joseph Beuys, ma anche dove i visitatori potevano rilassarsi in un ambiente dai suoni tropicali; è vero che una conoscenza approfondita e di prima mano della storia dell’arte manca in Lussemburgo così crudelmente come l’indolenza dei tropici.
A Strasburgo, sulla piazza della Repubblica, ha costruito una spirale ascendente che porta a un banano: certo, solo i maligni ci vedranno un riferimento alle nostre democrazie occidentali che somigliano sempre di più a una repubblica delle banane.
Potrei citare tante altre opere, temporanee o permanenti, realizzate a Volterra, a Danzica, a Gwangju, a Busan, a Taipei e altrove, ma ne scelgo solo un’ultima ancora, che ha concluso il suo percorso così vicino a noi: il Safe & Sorry European Pavillion, sulla Place de l’Europe di Lussemburgo, realizzata originalmente per Bruxelles.
Anche lì ritroviamo l’umorismo, l’ironia, la percezione di un contesto e della storia tipici di Bert, che risuonano con più forza oggi, in un’Europa più debole di quanto non lo sia mai stata. Mentre gli Stati Uniti, la prima forza mondiale, hanno un Pentagono da cui tentano di controllare tutte le guerre del pianeta, Bert Theis ne propone uno per l’Europa, a scala della sua impotenza: irregolare, in vetro, in cui la sicurezza è un’illusione, e che per difendersi può solo chiedere «scusa».
Per concludere, una terza cosa che Bert mi ha insegnato è come non perdere mai il coraggio.
Lui è stato un combattente per tutta la sua vita.
Perché l’ingiustizia l’ha sempre indignato.
Già da giovane, con la Ligue communiste révolutionnaire, sognava di cambiare le cose, ma questo campo di battaglia così violento – che ha come obiettivo finale non la giustizia ma il potere – non era per lui.
È per questo che ha scelto l’arte.
La battaglia di Bert era pacifica, intelligente, votata alla bellezza, e all’incontro della gente. Per lui l’arte era un’avventura collettiva.
Il suo grande progetto, Isola Art Center, l’ha vissuto intensamente insieme a Mariette, e ne hanno fatto un esempio d’utopia contemporanea che ha ispirato numerosi artisti in tutto il mondo.
Instancabile, Bert ha lottato contro l’espulsione degli abitanti di un quartiere, che è stato trasformato in un progetto urbanistico megalomane e distruttivo.
Insieme a Mariette e a un gruppo d’artisti, filosofi, architetti e sociologi, ha organizzato mostre, riunioni, azioni politiche e feste: non hanno vinto lo scontro con il rullo compressore del grande capitale, ma hanno realizzato un’utopia contemporanea gioiosa, che ha dato forza e speranza alle persone cui venivano sottratti progressivamente tutti i legami con il quartiere stesso che avevano visto nascere.
Questa battaglia, come tante altre, Bert l’ha condotta in un modo che merita rispetto: senza mai mettersi al primo posto, senza secondi fini, senza tirarsi indietro, perché quando sappiamo che una causa è giusta, la si porta avanti fino alla fine.
Alla fine, l’unica battaglia che ha veramente perso è stata quella contro la malattia: una battaglia combattuta in silenzio, dignitosamente e fino all’ultimo momento.
Bert era un essere umano sincero e meraviglioso.
Averlo incontrato, aver lavorato con lui e averlo avuto come amico sono stati veri e propri regali nella mia vita.
Era uno di quelli che una volta che lo incontri, ti fanno sentire più forte, ti fanno credere alle nostre utopie, e ti fanno sentire un po’ meno solo.
Anche in una circostanza come oggi, avrebbe trovato la parola giusta, un po’ come Duchamp, che gli piaceva tanto citare, e che ha fatto scrivere sulla propria tomba: «D’ailleurs, c’est toujours les autres qui meurent» (D’altronde sono sempre gli altri che muoiono).
Anche se ora, pur cercando di fare appello al mio senso dell’umorismo, al mio rigore tutto relativo, e a quello che mi rimane di coraggio, non sento altro che una tristezza immensa davanti alla sua assenza.
Ci manchi terribilmente Bert!
Enrico Lunghi, Lussemburgo, il 19 settembre 2016.
Translation by Isola Art Center
Mudam Luxembourg – Musée d’Art Moderne Grand-Duc Jean, in occasione della cerimonia di saluto a Bert. Foto Rob Engel.